di Luigi Pizzuto
“Un uomo che lavora con le sue mani è un operaio. Un uomo che lavora con
le sue mani e il suo cervello è un artigiano. Ma un uomo che lavora con
le sue mani, il suo cervello e il suo cuore è un artista”.
Questo magnifico pensiero di San Francesco d’Assisi si può senz’altro
rileggere in uno dei mestieri più antichi che Gennaro Camelo porta
sempre dentro di sè. Tempo fa sono andato più volte a curiosare nella
bottega del rame a Santa Croce di Magliano, a pochi passi dalla villa
comunale. Spinto dal desiderio di ammirare con calma le opere d’arte
dell’ottantaduenne Gennaro Camelo. Si tratta dell’ultimo stagnino
rimasto che lavora il rame con gli stessi segreti di tanto tempo fa.
Appena entro nella sua bottega mi spiega con pazienza l’arte della
lavorazione del rame che la sua famiglia pratica da tre generazioni. Mi
illustra poi in che modo - e con quanta passione - ha realizzato
tantissime piccole opere d’arte legate alla vita d’un tempo e a quanto
di meglio, nel corso del tempo, è divenuto il simbolo di una parte
oppure dell’intero paese. Pertanto subito mi porta in un angolo
espositivo per vedere la chiesa di San Giacomo in miniatura, l’Istituto
Sacro Cuore, la Torre di Magliano e i carretti di Sant’Antonio pieni di
spighe e di fiori, amati da tanti devoti. Nel racconto Gennaro è in
piena forma. Mostra tanta esperienza acquisita fin da bambino. Quando in
tenerissima età osservava in silenzio le mani creative del babbo e del
nonno modellare tutto ciò che all’epoca serviva alla vita quotidiana
dell’uomo. La sua lucidissima memoria ci riporta indietro nel tempo per
capire i segreti di ieri. Srotola, col suo curioso dialetto e con non
pochi accenti di nota, i meccanismi del mestiere e le attenzioni che
bisogna avere verso il rame. Questo metallo così duttile che,
puntualmente, riserva tante soddisfazioni e non poche sorprese. Poi mi
illustra il suo capolavoro: la riproduzione in scala dell’antico borgo
di Santa Croce. Il cosiddetto Quartetto, costituito dal Quarto dei
Latini e dal Quarto dei Greci. Senza sosta sofferma il suo dire sul
nucleo abitativo più antico. Intorno al quale è nato prima il Borgo San
Giacomo e poi l’intero abitato. Fino ai nostri giorni ancora “in fieri”.
Con un senso di rispetto, pieno di soddisfazione, mi indica la Chiesa
Greca, una costruzione dalle radici più antiche. Poi, di nuovo con
l’indice, i vicoli stretti, la dimora del medico poeta Raffaele
Capriglione, Largo Rotonda, le arcate, le mura, le porte e le quattro
torrette, di cui due sono in piedi a tutte le ore, Torre Licursi e Torre
Piscone. A dir il vero nell’impianto tutto è perfetto. La visione
d’insieme abbraccia la vita di ogni famiglia santacrocese. Sono
affascinato da quello che vedo. A questo punto gli dico di farmi una
promessa: realizzare la Quarantana col materiale più caro, per
illuminare il cielo della sua ricca bottega. Dove le sue creazioni
rianimano - agli occhi dell’osservatore - gli aspetti più belli della
cultura santacrocese. Da questa richiesta molto sentita in verità non è
passato tanto tempo. Così in vista dell’avvento della Quarantana, che
inizia dopo il Martedì Grasso, inaspettatamente vengo invitato per
partecipare alla presentazione dell’ultima sua opera in rame: la
Quarantana. Per me - che ho dedicato non poco tempo allo studio di
questa singolare tradizione che si perde in un mondo lontano - si è
trattato di una graditissima sorpresa. Piena di gioia. Come si vede dal
reportage fotografico si tratta di una graziosissima opera d’arte. Piena
di luce e di sapere locale. La Quarantana è la signora del cielo
santacrocese. In questo caso si può dire che è anche la regina di un
metallo dorato che brilla di luce propria su tutti gli altri manufatti
presenti nella vivacissima bottega dell’anziano artigiano. Ma che cos’è
la Quarantana. Questa strana immagine di bambola che vediamo durante
tutto il periodo della Quaresima diffusa nel contesto urbano di Santa
Croce di Magliano. Da chi la ama viene appesa ad un filo per quaranta
giorni. Libera di dondolare in un ristretto o largo spazio aereo. Tra
cielo e terra. Tra una finestra e un balcone. In effetti incarna la
Quaresima, vestita da vecchia, da pupatta o da bambola. In questa sua
rappresentazione sacro e profano si abbracciano. Orgogliosamente la
Quarantana ostenta i suoi accessori che hanno un alto profilo simbolico
nel campo antropologico. Ai suoi piedi oscilla una patata su cui sono
conficcate sette penne. Solitamente di gallina oppure di oca, di pavone
o di tacchino. Sette penne per indicare le settimane mancanti all’arrivo
della Santa Pasqua. Alla fine di ogni settimana ne viene tolta una fino
al Sabato Santo. Per annunciare con la penna bianca, al suono delle
campane, la gloria della Resurrezione. Una sorta di orologio pubblico
che spinge tutti con il naso all’insù a vedere il cielo. La Quarantana
porta sul grembiule l’aringa, per indicare l’astinenza quaresimale, il
vino e i peperoncini, segni di una vita senza regole che abbandona
Martedì Grasso. Porta infine in trionfo il fuso, simbolo di un arcano
cammino di vita, del quale nessuno potrà mai conoscere la fine. Questa
complicata filosofia, rimarcata da ogni singolo accessorio, viene velata
inaspettatamente da una curiosa metamorfosi espressiva. Senz’altro più
piacevole, che tra l’altro ha assunto nei tempi moderni. Si spiega così
la sua trasformazione da vecchia a pupa, pupatta e bambola. Forse anche
per soddisfare il piacere dei più piccoli. In tantissimi casi il look è
decisamente giovanile. Oggi in piena solitudine si può dire che nel
cielo di Santa Croce trionfano tantissime Quarantane in ogni via. Piene
di vita. Piene di un sapere antico dalle tante radici. |