di Michele Pirone
La piccola stazione, di sera, era rischiarata da un
lume a petrolio, sistemato in una nicchia della parete esterna, e serviva anche
a dar segnale di fermata al macchinista della vaporiera che arrivava sbuffando
tra nuvole di fumo e getti di vapore compresso dagli stantuffi, fra le ruote di
acciaio.
Gli asini, i cavalli, i muli, scendevano lentamente Le Strette carichi delle
valigie di cartone, con tanti giovani emigranti, in partenza per "l'altro
mondo'', come si diceva in paese.
Se ne andarono anche le mie zie, per raggiungere i mariti in America, e la nonna
piangeva, stringendosi le figlie, come chi accompagna un defunto al cimitero.
Nella biglietteria attendeva il capostazione con il berretto rosso e gli
occhiali pendenti sul naso, e l'acetilene emanava un odore acre e una luce
brillante.
D'inverno un gran fuoco rosso vivo, scoppiettante nel camino, invitava ad
entrare e ci si disponeva dinanzi al focolare. I più vigili, al minimo rumore,
si affacciavano sull'uscio per cogliere l'arrivo del treno che appariva, a
tratti, in lontananza; e poi scompariva nelle gallerie sotto i monti. La neve
turbinava cadendo, il vento soffiava e il treno si avvicinava inesorabile.
Intorno al fuoco i lamenti diventavano urli, forse anche bestemmie, contro il
convoglio che, crudele, rapiva i giovani, avventurieri per bisogno''.
Così mio fratello, Eliodoro Pirone, nel suo libro di racconti "Grano e
Gramigna", descrive la prima emigrazione dal Molise, l'esodo massiccio e
disperato dei giovani che fuggivano da una terra avara, inseguendo sogni di un
futuro migliore. Che forse non ci sarebbe mai stato; ma, comunque, essi dovevano
partire poiché, come sostiene Amir Klink, "il naufragio peggiore è quello
di chi non ha mai lasciato il porto ".
Questo quadro angoscioso del distacco, dello straziante dolore di chi resta e di
chi parte, caratterizzato da ''lamenti che diventavano urli'', è ritratto
altresì dal poeta isernino Sabino D'Acunto, il cui sentimento d'amore per la
sua terra Giuseppe Tedeschi, in un saggio critico pubblicato su "La fiera
letteraria", collocò tra Rilke e Montale.
In "Elegia molisana", che entusiasmò anche Salvatore Quasimodo, D'Acunto
osservava: "Non si piangono morti, qui, ma vivi! / Uomini vanno col
fardello carico / di stracci e di illusione chissà dove. / Partono all'alba,
come i condannati¼".
Andavano via - continua sempre Sabino D'Acunto - fuggendo "dai giorni
sempre uguali / circondati di neve e di silenzio ", lasciandosi alle spalle
"donne che hanno il petto dissanguato / dalla fame dei figli ".
Certo è che anche per il Molise, come scriveva Giuseppe Prezzolini, "
l'emigrazione è stata una enorme tragedia, con anni di fame, di sforzi, di
incertezza e di morte ".
Era l'epoca, quella, in cui il Molise era ricco di braccia ma poverissimo di
risorse; per cui l'unica valvola di sfogo, per la classe lavoratrice di allora,
era di tentare l'avventura dell'espatrio; e tutti i paesi del Molise, chi più e
chi meno, contribuirono nel tempo, con il flusso emorragico dei loro giovani, ad
alimentare l'esercito degli emigranti che presero le vie del mondo.
Vi è Castelpizzuto, ad esempio, in provincia di Isernia, che è pressoché
spopolato. Le case, vuote e silenziose, incutono un senso di solitudine e di
sbigottimento. Gli abitanti di quel paese, nella loro totalità, sono di numero
inferiore a quelli che si ritrovano in un qualunque edificio condominiale, di
appena quattro o cinque piani.
Vi è Pettoranello del Molise - il mio paese - i cui abitanti, un tempo oltre
duemila, si sono stabiliti a Princeton nel New Jersey; mentre in paese ne sono
rimasti meno di trecento. Il contributo che essi hanno dato alla loro città di
adozione è stato tale e tanto che, qualche anno addietro, si è realizzato
addirittura un gemellaggio, tra Princeton e Pettoranello, appunto.
Per non parlare del Canada. A Montréal gli immigrati di origine molisana
superano le centomila unità; praticamente essi sono il doppio degli attuali
abitanti di Campobasso, capoluogo del Molise, e quattro volte più degli
abitanti di Isernia, che è una provincia della stessa regione. Sommando i
molisani residenti a Montréal, a quelli di Toronto e di Vancouver, si otterrà
un numero di persone pari a quelle dell'intero Molise. Se poi si aggiungano i
molisani che vivono negli Stati Uniti, in Argentina, in Germania, in Francia, in
Svizzera e negli altri paesi di immigrazione, si avranno "cinque o sei
Molise" sparsi nel mondo.
Come vivono questi emigrati ?
Molti di loro hanno fatto fortuna, altri un po' meno. Tutti, però, vivono nel
ricordo della patria lontana e sognano di poter un giorno tornarvi; anche se
poi, avendo stabilito nuove radici, il ritorno resterà un pio desiderio.
Sarà la lontananza dalla loro terra, sarà il contatto quotidiano con gente
diversa dalla propria, fatto sta che all'estero l'attaccamento alle proprie
origini, fa parte di un campanilismo che in patria non esiste ormai più; è
perciò che anche i molisani, come gli immigrati di altre provenienze, si
riuniscono tra di loro, formano associazioni di appartenenti allo stesso paese
di origine, di cui portano il nome; e queste, a loro volta, confluiscono in una
federazione che ne coordina le attività. Ogni sabato essi organizzano feste
associative per incontrarsi, per dialogare, per raccontarsi, per pranzare
insieme e ballare; ma soprattutto per sentirsi vivi e per tener accesa la
fiaccola della nostalgia, che è pane quotidiano per chi vive lontano dal
proprio paese e dai propri cari. Al contrario di quanto accade in molti dei loro
paesi di origine, dove non ci si vede quasi più, abbrutiti come sono - i
molisani in patria - dal consumismo e dal progresso che impongono loro una vita
di solitudine.
Il Molise, un tempo, era una delle aree più depresse del Mezzogiorno d'Italia.
Ma, da allora, le cose sono cambiate. Oggi l'emigrazione è quasi cessata,
perchè i giovani trovano lavoro nella propria terra. Su quelle lande una volta
desolate, che nulla offrivano al di fuori di un'agricoltura da fame, sono sorte
industrie fiorenti e rinomate : basti pensare alla filiale Fiat di Termoli, alle
industrie del comprensorio venafrano, a quelle di abbigliamento nella piana di
Pettoranello e nell'agro di Monteroduni, nonché a quelle di prodotti dolciari,
vere e proprie multinazionali, che esportano i loro prodotti in tutto il mondo;
e, soprattutto, all'antica ditta Marinelli, di Agnone, le cui campane, da oltre
un secolo, risuonano sui templi dei cinque continenti.
A differenza delle altre regioni, nelle quali la criminalità ha reso la vita
invivibile, il Molise è la terra nella quale fatti delittuosi si verificano
ogni morte di papa. Isernia, ad esempio, risulta tra i primissimi posti in
graduatoria, tra tutte le città d'Italia, per qualità di vita e per vocazione
al risparmio.
I paesetti arroccati sulle colline, una volta simbolo di un degrado miserevole,
sono oggi lindi, pittoreschi, con le loro casette dalle facciate bianche, come
quelle dei presepi.
La terra, ormai, è abbandonata e incolta, poiché altre possibilità di lavoro
si offrono, più redditizie e meno faticose.
Ancora oggi, forse, qualcuno va via dal Molise; ma allorché ciò accada egli lo
fa per scelta di vita e non più per bisogno. Per desiderio di evasione, di
avventura, di turismo, di conoscenza, e non per necessità. Non più con valigie
di cartone legate con lo spago e passaporto rosso; ma con portafoglio fornito e,
magari, abbigliamento firmato. Per cui il distacco con i familiari avviene senza
"più lamenti che diventano urli"; ma con la serenità e nella
consapevolezza di chi non veda nella partenza un pericolo.
Cos'è rimasto più, nel Molise, della civiltà contadina, dell'esodo dalla
terra e dell'emigrazione selvaggia?
Quasi niente. Soltanto quel poco che rivive nella memoria e nel racconto degli
anziani e di cui scomparirà ogni ricordo, con la estinzione della loro
generazione.
Poiché, come scrive Sabino D'Acunto: " In questa terra avara la mia gente
/ rinnova le sue stirpi / come sui rami mutano le foglie ".
indice Racconti degli Emigranti a cura del sig. Minotti
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