Pubblicato su www.santacroceonline.com il 16/02/2004


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“Per non dimenticare... parole e immagini del terremoto”


iniziativa editoriale a cura del “Centro di Servizio per il Volontariato – Il Melograno” (Larino)

 

 

Pubblichiamo un estratto dello scritto di Alberto Bobbio dove si parla del terremoto a Santa Croce di Magliano, del rischio sismico della nostra area, del professore e geologo santacrocese Gaetano Di Stefano e, con enfasi, anche del nostro sito!

(pagg. 31/39)

"Viaggio dentro lo scossone"

                   di Alberto Bobbio

La strada sale da Termoli e poi corre lungo il filo delle colline. Da una parte la valle del Biferno, dall'altra quella del Fortore. Lo scossone le ha salite e discese, spaccato le case, sventrato le chiese. I guardiani del terremoto sono sette scienziati che giorno e notte misurano la febbre della terra. Forse conviene cominciarlo da qui questo viaggio dentro i paesi del basso Molise, dove i pennini non si fermano e registrano la magnitudo. L'Istituto nazionale di geofisica e di vulcanologia ha piazzato i suoi camper irti di antenne e ricolmi di computer su una collina sopra Casacalenda. Li dirige Marco Cattaneo, capo delle rete mobile dell'Istituto. Ci sono 33 stazioni sparse per il Molise, che trasmettono in telemetria tutti i movimenti delle rocce sotto di noi: "Stiamo qui per capire quello che è accaduto e quello che potrebbe accadere. Ma, per favore, non dite che possiamo prevedere il futuro". Questa mattina di turno c'è Elisabetta D'Anastasio, borsista dell'Istituto. Passa ore a guardare i rulli dove i pennini a volte s'impennano e la linea nera diventa una sincope, su e giù lungo la carta. Salgono fin quassù i cittadini di Casacalenda a chiedere quando finirà. Ma loro, gli scienziati, non hanno risposte. Possono dire cosa è accaduto: "San Giuliano era costruito sulla roccia, ma appena Sotto le argille hanno amplificato la forza del terremoto che è partito da almeno 10 chilometri di profondità", spiega da dottoressa D'Anastasio. Ma cosa si sapeva sul Molise? Cosa si conosceva della sismicità di questa zona? "Tanto" risponde. "Queste zone erano sismiche e noi lo avevamo scritto”. Non è un mistero. Lo dice la mappa del 1998, 12 giugno, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 25 giugno. La chiave è lì, ma anche nella memoria della gente.

Il professor Gaetano Di Stefano è un geologo che per anni ha insegnato nelle scuole di Santa Croce di Magliano, un chilometro in linea d'aria da San Giuliano: "Abbiamo i documenti. Ecco: 1456, 5 dicembre, Santa Croce distrutta insieme ai paesi intorno. La cronaca è dei monaci del monastero di Sant'Elena in Pantasia. Precisa, dettagliata, minuziosa sui morti e sui danni. Potrebbe essere stata del decimo grado della scala Mercalli, magnitudo esplosiva, più forte di quella dello scorso 31 ottobre". Già, il terremoto del 1456. La gente di qui te lo ricorda ad ogni passo. È come se la sua memoria fosse passata di bocca in bocca da generazioni, senza mai fermarsi, senza mai inciampare nell'oblio e nel dubbio dopo secoli di altri drammi della natura e degli uomini. Quel terremoto non si dimentica. Eppure nessuno ha letto il libro del professor Bruno Figliuolo, uno dei massimi storici di terremoti italiani, quello che ha compilato la mappa dei sismi italiani cominciando da 600 anni prima di Cristo. Il professore quasi 12 anni fa ha studiato proprio il terremoto del Molise del 1456 e ha scritto un libro intitolato semplicemente "Il terremoto del 1456". Ha studiato le carte dei benedettini custodite a Montecassino. È per quell'evento che Santa Croce di Magliano si spopolò e questa fu anche una delle cause per cui arrivarono greci e albanesi. Ururi è un paese di origine albanese e a Santa Croce fino a due secoli fa nella "chiesa greca" si celebrava ancora con il rito di Bisanzio. Poi l'edificio venne praticamente abbandonato. Ora è il terremoto che può far ripartire prospettive di ristrutturazione. La chiesa, una sola navata senza campanile, è stata imbragata all'esterno e profonde crepe percorrono i muri interni. Non è crollata anzi ha retto bene all'urto delle scosse. Venne divisa in due questa terra dopo l'arrivo delle nuove popolazioni, cosicché si parlava di "un quarto dei Greci" e di "un quarto dei Latini". 
Il professor Di Stefano, insieme ad altri ha studiato tutte le carte delle storie di qui, raccolte in tre volumetti intitolati "Santa Croce d'altri tempi". Ma c'è anche un gruppo di giovani che non ha alcuna intenzione di dimenticare e oggi che la tecnologia aiuta hanno messo in rete la storia e la cronaca. Giuseppe Di Rienzo cura il sito Internet www.santacroceonline.com, viaggio a portata di mouse dentro le tradizioni e gli accadimenti di una delle terre più remote d'ltalia. Lo ha messo in rete perché queste sono naturalmente terre di emigrazione. Ci sono colonie di "santacrocini" in America Latina, in Canada, negli Stati Uniti. Nei giorni del terremoto si sono tenuti vicini con Internet. E Giuseppe Di Rienzo ha aperto la posta elettronica e pubblicato i messaggi, le preghiere, le richieste di notizie da tutto il mondo. Hanno scritto in inglese, in spagnolo, in italiano, quello stentato di chi ormai abita lontano da troppo tempo, ma non ha dimenticato. E il sito di Santa Croce è diventato il modo per avere notizie. È la dimostrazione che le frontiere sono state spaccate, che l'informazione percorre canali non usuali, ma che funziona. Chiedevano, di là dell'oceano, di sapere se la casa sul corso, quella del bisnonno, quella che un vecchio raccontava a nipoti nati altrove, fosse ancora in piedi. Volevano sapere, sapere. E lui Giuseppe di Rienzo mandava i suoi ragazzi con la digitale a fotografare case, chiese, scuole, pietre e fontane e metteva tutto in rete. 
Eccolo il paese, ecco come sta. Una scossa ha decapitato il campanile della chiesa di san Giacomo. La casa natale della signora Franca Pilla invece si è salvata. Franca Pilla è la moglie del presidente Ciampi. Il padre era medico condotto in queste contrade povere. Lei conosce bene il grande cuore dei molisani. Sa cosa vuol dire andarsene dalla terra e non dimenticarne i valori genuini e le radici. Tutto qui rimanda all'immigrazione. Anche la scuola di San Giuliano, intitolata a Francesco Jovine, professore di scuola, scrittore dell'emigrazione, delle lotte dei braccianti, trasferitosi a Roma ad un certo punto per fare il preside, eppure uomo che non ha mai dimenticato. Anche i terremoti non si dimenticano, loro che sono stati causa di emigrazione per alcuni e di nuovi arrivi per altri. 

 

Adesso scendiamo lungo il tratturo dei pastori, le antiche vie della transumanza, che portavano da secoli pastori e greggi dalla montagna ai pascoli caldi della Capitanata e del Tavoliere, giù, giù fino al mare. Il tratturo era largo in alcuni punti fino a 110 metri, terra del demanio, oggi data in coltivazione. Chi se li ricorda i tratturi, la vita graffia dei pastori? Il professor Di Stefano è uno straordinario compagno di viaggio stamane che piove e la strada e un tappeto morbido dl fango. Andiamo verso la Badia di Sant'Elena in Pantasia, Casale di Sant'Elena, come lo chiamano qui. "Fu fondato da principi longobardi" spiega il professore, "le pietre più antiche sono del 976. I benedettini nel 1176 riuscirono ad ottenere da Guglielmo, re di Sicilia e d'Italia, la sua protezione. Cosa importante allora per via che queste terre erano percorse da briganti e da eserciti di tutte le risme". Tra i privilegi della Badia c'era anche quello di edificare casali e ville nel demanio e di farci abitare uomini. Sant'Elena doveva essere un monastero abbastanza grande con diversi piani di stanze e magazzini. Intorno alla prima metà del 1200, spiega il professor Di Stefano, cioè al tempo del re Rugiero I, re di Napoli dei Normanni, era ritenuto luogo "considerevole". 
Oggi Sant'Elena in Pantasia è quasi nascosta dentro la masseria degli Iantomasi, il padre Adamo, i figli Michele e Flaviano. Il terremoto ha ferito la Badia, un muro è riverso su un prato, l'unica navata aperta su un lato, l'altro muro che penzola pericolosamente sulla casa colonica a fianco. Dentro nella chiesa ancora nessuno ha avuto il coraggio di entrare. L'edificio ha resistito a tanti drammi, gli hanno messo accanto nei secoli muri di sostegno, contrafforti tirati su alla buona, che ne hanno cambiato la fisionomia architettonica e oggi appare come una fortezza di blocchi di pietra. È proprietà privata, inglobato nelle strutture di una fattoria, ma conserva ancora le caratteristiche romaniche, sotto il massiccio stratificarsi del tempo. Il terremoto ha messo a nudo gli aggiustamenti, li ha tirati giù uno dopo l'altro, ha squadernato la storia della Badia. Ma è troppo pericoloso avvicinarsi. Ci sono pietre in bilico su altre pietre, il tetto è appoggiato da una parte, basta un nulla perché cada tutto a terra. 
Adamo Iantomasi vive nella roulotte, i figli sotto la tenda blu della protezione civile. La casa, anch'essa lesionata, è troppo accostata all'antica chiesa. Tra poco verranno i vigili del fuoco, gli han detto. Verranno a prendere la statua di Sant'Elena e le altre statue dei santi, perché la gente di San Giuliano le vuole accanto a se nella tendopoli sotto il paese distrutto. Passa qui davanti il tratturo e scende a sud punteggiato di altre cappellette religiose fino in Puglia. Oggi è un percorso di trekking, da fare in bici o a cavallo, valorizzato dalla Regione che promuove il turismo e i cibi genuini. Il luogo fu abbandonato dai monaci proprio a causa dei disastrosi terremoti che sconvolsero la zona.
Il professor Di Stefano tira fuori l' elenco: "Vede, 1456 e poi avanti secolo per secolo. Nel Novecento abbiamo avuto 21 terremoti: il primo nel 1903, VII grado. Ma questo territorio mai è stato inserito nell'elenco dei Comuni dichiarati sismici dalla Regione Molise. O almeno noi non l'abbiamo mai saputo. Perche?". 
Gaetano Di Stefano sussurra una spiegazione: "È per via della diga". Già, la diga. Bisogna fare un lungo giro da Santa Croce di Magliano. La strada che attraversa San Giuliano è interrotta. Saliamo verso Bonefro, poi a sinistra per Colletorto, grappoli di case appese alle colline, scosse dal terremoto, e poi giù verso il Fortore, il fiume che segna il confine naturale tra il Molise e la Puglia. La diga di Occhito lo chiude ad est. È la diga di terra più grande d'Europa, il lago contiene 30 milioni di metri cubi d'acqua che servono per l'irrigazione e gli acquedotti. Sarebbe stata da rifare quella diga se la zona fosse stata compresa tra quelle ad altissimo rischio sismico? La risposta manca ma a Carlantino, comune pugliese sopra la diga, hanno paura. Anzi il sindaco Vito Guerriera ammette che della diga hanno sempre avuto timore: "Frane, smottamenti e adesso il terremoto". La diga si trova in linea d'aria a pochi chilometri da San Giuliano. Da giorni la osservano attentamente. Da giorni l'hanno ripassata tutta, dal momento che non è possibile non abbia sentito il terremoto. Eppure finora non è stato rilevato niente di anormale. La strada scende a volte verso il Fortore, contrappuntata da antiche masserie in rovina. Il fiume segna il confine naturale tra il Molise e la Puglia, fino alla masseria della Marchesa, sopra Serracapriola. Dopo il ponte comincia la Puglia dimenticata del terremoto.

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sul web... www.cdsilmelograno.it


 

 

 

 



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