Mi rendo
perfettamente conto che sono diverse volte che porgo le mie riflessioni
alle considerazioni dei miei compaesani, sovraesponendo la mia persona
(teoria di McLuhan), ma non posso sottrarmi nel ricordare docenti che
hanno formato intere generazioni di studenti, come lo stimatissimo prof.
Angelo Mastrangelo.
Docente di scienze matematiche, nonché libero professionista nel campo
della consulenza del lavoro, ha dedicato parte della sua vita alla
formazione dei giovani studenti alla Scuola Media Statale “Michele Del
Gatto” di Santa Croce di Magliano.
Egli ha svolto la funzione docente con determinazione e tenacia,
pretendendo dai suoi alunni il massimo ascolto e partecipazione alle
attività didattico-educative, consapevole che essi stavano attraversando
la cosiddetta “crisi puberale” tipica della fase preadolescenziale, in
cui i ragazzi iniziavano a sperimentare cambiamenti fisici, emotivi e
sociali in preparazione all’adolescenza.
Stipulava con gli allievi un patto educativo ferreo che implicava la
responsabilità di ciascuno alla gestione della classe, anche quando il
professore per qualsiasi ragione si fosse assentato, per cui il
silenzio, scusate l’ossimoro, diventava “assordante” per chi faticava ad
avere l’attenzione degli interlocutori.
Nella Scuola definita “Atene del Molise”, come per i Sofisti, era di
prassi affidarsi alla "retorica", buona eloquenza, e alla "paideia",
continua formazione e autoformazione professionale. Pertanto, si
pretendeva dagli alunni e dagli stessi docenti “il massimo
individualmente possibile”. Ossia chi poteva raggiungere risultati
eccellenti non poteva accontentarsi della sufficienza, ma chi non
riusciva a raggiungere la sufficienza, secondo l’art.3 della
Costituzione, uguaglianza formale e sostanziale, doveva essere
supportato e sostenuto nel suo percorso educativo.
E il prof. Mastrangelo, soprattutto nei consigli di classe e agli esami
di licenza media diventava il “tribuno” degli alunni, aiutandoli e
incoraggiandoli, conoscendo a menadito il loro contesto socio-familiare.
L’esperienza sportiva, prima come giocatore della squadra di calcio
della Turris e, poi, come dirigente, lo ha forgiato ancora di più nella
sua tempra di persona e di professionista, sempre pronto al sorriso e a
immedesimarsi nei sentimenti e negli stati d’animo degli altri.
Sempre elegante e empatico riusciva a stabilire validi rapporti
interpersonali e spesso dietro la corazza protettiva, si nascondeva un
animo gentile e cortese che esondava amore e, innanzitutto, rispetto.
Nella consapevolezza che l’uomo è l’unico essere vivente che sa di dover
morire, quando ci si incontrava, nell’abbraccio più affettuoso, in pochi
secondi ci si riportava ai ricordi più intensi di chi non era più con
noi.
Ai suoi figli, Donato e Belisario, e alla moglie, Dora, e a tutti noi ha
lasciato un’eredità di preziosi insegnamenti e buoni sentimenti, non
possiamo far altro che ricordarlo nel modo in cui lui possa essere
sempre presente tra di noi.
Professor Giuseppe Colombo |