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Feste popolari - "u marauasce"

 


 

Tra tante tradizioni popolari che si sono affievolite e altre che sono addirittura scomparse, resiste quella dei "marauasce", i fuochi in onore di San Giuseppe che si accendono la sera del 19 marzo
A dire il vero negli ultimi lustri la ricorrenza era un po' scemata anche se, a partite dagli anni '90, anche grazie all'impegno del gruppo folcloristico "U Cuoscene" e successivamente dalla Pro-Loco "Quattro Torri", che decisero di premiare i gruppi allestitori dei fuochi, c'è da rimarcare un vigoroso ripristino di questa antica usanza.
Certo le ragioni e le abitudini della gente per la festa, sono profondamente cambiate e hanno subito un'involuzione notevole, anche se si cerca sempre di onorare gli usi tramandati dai padri e dai nonni.
In tutti i quartieri, nei giorni precedenti la festa, si ammassano cataste di legna, recapitata nelle campagne, e la sera, all'imbrunire, si accendono i falò.
Anticamente la tradizione prevedeva il canto e il ballo intorno al fuoco, come riportiamo nei vari documenti in questa pagina.

"marauasce" 2001 in Piazza Crapsi (foto prof. Gaetano Di Stefano)

 

U marauasce

San Gesèppe sta rruvanne
i uagliù pe céppe vanne,
giren' i case pi cercà
na cataste può c' enna fa.

Ce sta pur'e cacche banne
ch' è rubbà - zitte - i vanne:
pe san Gesèppe sò, che fa?
P' i sante peccate 'nge sta.

San Gesèppe iè ruvate,
tutte spètten' a serate,
miss' i céppe miez' a strate
pronte sò p' esse pecciate.

I lambe pigliene vije
cu chiasse e callegrije.
Mò ze fa u girotonde,
pe cantà, a voc'e pronte;
quanta bèlle letanije,
patrenuostre, vèmmarije!
pe vije de sti lampiate;
quanne può ze so stutate,
sul' a vrace iè restate,
pur' i cante so fenite
mò che munne scurdeite!

Che na lutema scallate
ècche chiuse a serate.
Che trestezze!... Zè fenute!
Tutt' a gènte ze nè iute.

Quante rrive stu fenale
i ce rèste tante male!
De quella rossa catraste
sule cénner' è rumaste:
na cénnere greggelélle
cuntemplate, mò, di stélle !!

poesia di Pietro Mastrangelo (Marzo 1985)
illustrata dal disegno qui sotto

 

POESIA DI RAFFAELE CAPRIGLIONE

U MARAUASCE

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IL CANTO TIPICO DEL MARAUASCE

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IL PIATTO TIPICO
MACCHERONI CON LA MOLLICA

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le foto del "marauasce" su SantaCroceOnLine

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I cosiddetti "Marausce", i falò accesi nella notte di San Giuseppe, resistono ancora, come una delle manifestazioni della tradizione culturale di Santa Croce di Magliano, che meglio conserva l'antico fascino di una serie di rituali che quasi intatti, hanno sfidato i secoli, ed ancora oggi, con scrupolosa dedizione, l'intera comunità, tiene in vita.
Ma da dove trae origine questa popolare ricorrenza, comune in molti centri del Molise e con peculiari differenze, in località del Nord Europa? Chiunque volesse indagare la genesi dell'atavico rito, ha due ipotesi di interpretazione antropologica: da una parte può attingere informazioni dai riti derivanti dalla liturgia cristiana, dall'altra è indispensabile prestare attenzione ai preziosi chiarimenti sulle antichità sacre del popolo romano. Sebbene non vi sia una rigorosa documentazione storica, si può affermare con una malcelata certezza, che le feste dei fuochi appartengono alle feste calanderiali.
In particolare, esse sono legate al passaggio fondamentale dalla crudezza dell'inverno al risveglio della primavera. Il fuoco si presenta nella sua doppia veste simbolica. Da un lato esso rappresenta la distruzione di tutto ciò che angoscia la comunità - la fame, la malattia, la morte - dall'altra, il fuoco, si presenta come rigeneratore per eccellenza. Come spesso accade, attraverso secoli e percorsi intricati, la nuova religione cristiana, ha "divorato" aspetti della più lontana religiosità arcaica ed ha restituito, in virtù di un rinnovato movimento di sincretismo, mantenendo la stessa tradizione popolare, arricchendola, in taluni casi, di nuovi elementi e considerevoli varianti. 
Difatti, la leggenda vuole che i "Marauasce" derivino da Sant'Antonio Abate. Questi, padre dei monaci e protettore degli animali, adirato con Dio perché non volle concedergli una grazia, scendendo negli inferi prese un tizzone ardente ed incendiò il mare: da lì, pur conservando i tratti evidenti della loro arcaicità, i falò del 19 Marzo, sono ormai saldamente inseriti in un quadro di credenze cristiane.
Ma che centra San Giuseppe? Uno dei tratti costitutivi della festa dei falò, è quello di offrire agli ospiti, del cibo e delle bevande. Questa tradizione riconduce alla Sacra Famiglia, che, con Gesù neonato, vagava per l'Egitto per sfuggire ai sicari di Erode. L'offerta di cibo, ricorda l'ospitalità che in quel frangente, Giuseppe con la sua famiglia, stanchi e senza cibo, ricevé dalle popolazioni nomadi. Di per sé già intricata, la memoria storica del rito antichissimo dei falò che si intreccia con il culto per San Giuseppe, per anni a Santa Croce, si è tinto di giallo. Molti anziani, ricordano infatti, che i "Marauàsce", si accendevano nella notte tra il 12 e 13 Giugno.
Confusione tra Sant'Antonio da Padova e Sant'Antonio Abate? Seppure perdurano gli interrogativi sulla loro genesi, i "Marauàsce", conservano integralmente quell'antico fascino, che spinge, grandi e piccini, a raccogliere sterpi nei giorni precedenti, e a darsi il cambio attorno ai falò, cercando di alimentarlo per tutta la serata, per non farlo morire, e tentare di raggiungere l'alba, con le fiamme che rischiarano ancora le abitazioni.

 

di Salvatore Celeste da Oggi Nuovo Molise

 


Per ritrovare i motivi della tradizione, riportiamo uno scritto del 1965 di Pietro Mastrangelo nelle pagine de "Il Messaggero":

  "... A questa festa partecipano maggiormente le buone e belle ragazze di campagna e i bambini, che sin dalla mattina si mettono in moto e girano di casa in casa per raccogliere quel quantitativo di legna sufficiente a fare una catasta. Una grande fatica per loro! 
Ma in compenso i bambini hanno il diritto di alimentarla di tanto in tanto con manciate di ceppi. Quando discende la sera e le stelle pian piano si affacciano come tanti occhietti sull'immensa cupola del cielo, s'accendono i "marauasce" tra strilli e batter mani dei bambini. Dalla catasta cominciano a venir fuori le prime fiamme, che aumentano sempre di più fino a vibrare in un anelito possente verso il cielo. Il marauasce è pronto. 
A coppie, ad una ad una, si fanno avanti le giovinette, poi le madri, infine le vecchierelle che lente e caute sbucano dalle case trascinandosi in prossimità del fuoco. Al via di un uomo o di una donna anziana, si compongono per il circolo, si prendono per mano e cominciano a girare cantando la - lauda - o canto sacro. Quel lento girare, quel cadenzato muover di passi, quell'ancheggiare grazioso delle fanciulle, fanno del marauasce uno spettacolo quanto mai suggestivo, avente il sapore di una manifestazione tzigana.
Mentre la lauda echeggia al riverbero delle fiamme, l'attento ragazzo, il manager del marauasce si prodiga ad attizzare il fuoco, a scarnire e stuzzicare il "ciocco" dal quale mille e mille faville sortiscono, scoppiettando. In taluni fuochi il canto è accompagnato dal suono dell'organetto, strumento che ancora esiste nel nostro paese, anche se la radio da molti anni e la televisione da poco, hanno portato una ventata di modernità nel nostro ambiente, che per certi aspetti è rimasto quello che era cento o duecento anni fa. Col suono dell'organetto è tutt'altra cosa: si canta e si gira meglio. 
Le fanciulle diventano più vivaci ed audaci, mentre i vecchi in atteggiamenti nostalgici, rimpiangono le indiavolate tarantelle dell'ormai passata giovinezza. Intanto frotte di giovanotti uscite dai bar, dalle cantine e dai circoli si avvicinano ai marauasce con aria scanzonata, puntando le belle ragazze con occhi audaci e provocanti, lanciando loro dei frizzi o dei complimenti. Da una piazza all'altra è un continuo via vai, a volte scherzoso a volte pesante, di quella pesantezza che il vino paesano suol conferire al passo. 
L'atmosfera diventa sempre più rovente, e non nel solo significato traslato della parola; i fuochi scoppiettano, i vetri delle finestre lampeggiano, dappertutto è un frenetico girare di uomini, donne, fanciulli, intorno al fuoco sacro. 
Coll' incalzare della notte, che il più delle volte - a primavera - nel nostro clima è ancora freddo, i fuochi si spengono, le voci si affievoliscono. Non rimane che accostarsi alla brace, un indugiarsi sull'ultima strofa della lauda, canto vecchio e robusto come la nostra gente molisana. Più tardi il silenzio notturno riprende il suo imperio, interrotto per poco, e le stelle, mute e scintillanti, rimangono a guardare le strade e le piazze, ove non resta che cenere e qualche po' di brace. Il "marauasce" è finito. 
Al canto del gallo i giovani contadini riprenderanno la via della campagna, mentre le giovinette torneranno all'ago e alla faccende di casa, forse sospirando, oppure canticchiando in sordina le strofe della lauda: "Patriarca San Giuseppe, protettore dell'agonia, tu mi assisti in morte mia, con Gesù e con Maria".

 

 



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