I cosiddetti
"Marausce", i falò accesi nella notte di San Giuseppe, resistono ancora, come una delle manifestazioni della tradizione culturale di Santa Croce di Magliano, che meglio conserva
l'antico fascino di una serie di rituali che quasi intatti, hanno sfidato i secoli, ed ancora oggi, con scrupolosa dedizione,
l'intera comunità, tiene in vita.
Ma da dove trae origine questa popolare ricorrenza, comune in molti centri del Molise e con peculiari differenze, in località del Nord Europa? Chiunque volesse indagare la genesi dell'atavico rito, ha due ipotesi di interpretazione antropologica: da una parte può attingere informazioni dai riti derivanti dalla liturgia cristiana, dall'altra è indispensabile prestare attenzione ai preziosi chiarimenti sulle antichità sacre del popolo romano. Sebbene non vi sia una rigorosa documentazione storica, si può affermare con una malcelata certezza, che le feste dei fuochi appartengono alle feste
calanderiali.
In particolare, esse sono legate al passaggio fondamentale dalla crudezza dell'inverno al risveglio della primavera. Il fuoco si presenta nella sua doppia veste simbolica. Da un lato esso rappresenta la distruzione di tutto ciò che angoscia la comunità
- la fame, la malattia, la morte - dall'altra, il fuoco, si presenta come rigeneratore per eccellenza. Come spesso accade, attraverso secoli e percorsi intricati, la nuova religione cristiana, ha "divorato" aspetti della più lontana religiosità arcaica ed ha restituito, in virtù di un rinnovato movimento di sincretismo, mantenendo la stessa tradizione popolare,
arricchendola, in taluni casi, di nuovi elementi e considerevoli varianti.
Difatti, la leggenda vuole che i "Marauasce" derivino da Sant'Antonio Abate. Questi, padre dei monaci e protettore degli animali, adirato con Dio perché non volle concedergli una grazia, scendendo negli inferi prese un tizzone ardente ed incendiò il mare: da lì, pur conservando i tratti evidenti della loro arcaicità, i falò del 19 Marzo, sono ormai saldamente inseriti in un quadro di credenze cristiane.
Ma che centra San Giuseppe? Uno dei tratti costitutivi della festa dei falò, è quello di offrire agli ospiti, del cibo e delle bevande. Questa tradizione riconduce alla Sacra Famiglia, che, con Gesù neonato, vagava per
l'Egitto per sfuggire ai sicari di Erode. L'offerta di cibo, ricorda l'ospitalità che in quel frangente, Giuseppe con la sua famiglia, stanchi e senza cibo, ricevé dalle popolazioni nomadi. Di per sé già intricata, la memoria storica del rito antichissimo dei falò che si intreccia con il culto per San Giuseppe, per anni a Santa Croce, si è tinto di giallo. Molti anziani, ricordano infatti, che i
"Marauàsce", si accendevano nella notte tra il 12 e 13 Giugno.
Confusione tra Sant'Antonio da Padova e Sant'Antonio Abate? Seppure perdurano gli interrogativi sulla loro genesi, i
"Marauàsce", conservano integralmente quell'antico fascino, che spinge, grandi e piccini, a raccogliere sterpi nei giorni precedenti, e a darsi il cambio attorno ai falò, cercando di alimentarlo per tutta la serata, per non farlo morire, e tentare di raggiungere
l'alba, con le fiamme che rischiarano ancora le abitazioni.
di
Salvatore Celeste da Oggi Nuovo Molise
Per ritrovare i motivi della tradizione, riportiamo uno scritto del 1965 di
Pietro Mastrangelo nelle pagine de "Il Messaggero":
"... A questa festa partecipano maggiormente le buone e belle ragazze di
campagna e i bambini, che sin dalla mattina si mettono in moto e girano di casa
in casa per raccogliere quel quantitativo di legna sufficiente a fare una
catasta. Una grande fatica per loro!
Ma in compenso i bambini hanno il diritto
di alimentarla di tanto in tanto con manciate di ceppi. Quando discende la sera
e le stelle pian piano si affacciano come tanti occhietti sull'immensa cupola
del cielo, s'accendono i "marauasce" tra strilli e batter mani dei
bambini. Dalla catasta cominciano a venir fuori le prime fiamme, che aumentano
sempre di più fino a vibrare in un anelito possente verso il cielo. Il
marauasce è pronto.
A coppie, ad una ad una, si fanno avanti le giovinette, poi
le madri, infine le vecchierelle che lente e caute sbucano dalle case
trascinandosi in prossimità del fuoco. Al via di un uomo o di una donna
anziana, si compongono per il circolo, si prendono per mano e cominciano a
girare cantando la - lauda - o canto sacro. Quel lento girare, quel cadenzato
muover di passi, quell'ancheggiare grazioso delle fanciulle, fanno del marauasce
uno spettacolo quanto mai suggestivo, avente il sapore di una manifestazione
tzigana.
Mentre la lauda echeggia al riverbero delle fiamme, l'attento ragazzo,
il manager del marauasce si prodiga ad attizzare il fuoco, a scarnire e
stuzzicare il "ciocco" dal quale mille e mille faville sortiscono,
scoppiettando. In taluni fuochi il canto è accompagnato dal suono
dell'organetto, strumento che ancora esiste nel nostro paese, anche se la radio
da molti anni e la televisione da poco, hanno portato una ventata di modernità
nel nostro ambiente, che per certi aspetti è rimasto quello che era cento o
duecento anni fa. Col suono dell'organetto è tutt'altra cosa: si canta e si
gira meglio.
Le fanciulle diventano più vivaci ed audaci, mentre i vecchi in
atteggiamenti nostalgici, rimpiangono le indiavolate tarantelle dell'ormai
passata giovinezza. Intanto frotte di giovanotti uscite dai bar, dalle cantine e
dai circoli si avvicinano ai marauasce con aria scanzonata, puntando le belle
ragazze con occhi audaci e provocanti, lanciando loro dei frizzi o dei
complimenti. Da una piazza all'altra è un continuo via vai, a volte scherzoso a
volte pesante, di quella pesantezza che il vino paesano suol conferire al passo.
L'atmosfera diventa sempre più rovente, e non nel solo significato traslato
della parola; i fuochi scoppiettano, i vetri delle finestre lampeggiano,
dappertutto è un frenetico girare di uomini, donne, fanciulli, intorno al fuoco
sacro.
Coll' incalzare della notte, che il più delle volte - a primavera - nel
nostro clima è ancora freddo, i fuochi si spengono, le voci si affievoliscono.
Non rimane che accostarsi alla brace, un indugiarsi sull'ultima strofa della
lauda, canto vecchio e robusto come la nostra gente molisana. Più tardi il
silenzio notturno riprende il suo imperio, interrotto per poco, e le stelle,
mute e scintillanti, rimangono a guardare le strade e le piazze, ove non resta
che cenere e qualche po' di brace. Il "marauasce" è finito.
Al canto
del gallo i giovani contadini riprenderanno la via della campagna, mentre le
giovinette torneranno all'ago e alla faccende di casa, forse sospirando, oppure
canticchiando in sordina le strofe della lauda: "Patriarca San Giuseppe,
protettore dell'agonia, tu mi assisti in morte mia, con Gesù e con Maria".
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